STORIA

                   

La marca da bollo ha la funzione di attestare il pagamento di un tributo dovuto per legge. Come tale fa parte delle "carte valori", termine generico per i biglietti di banca e di Stato, i titoli, le marche da bollo e assicurative, le carte bollate, le cambiali, i francobolli, le cartoline e i biglietti postali e, in senso più ristretto, dei "valori bollati", insieme con i francobolli. Le marche ebbero larga diffusione anche al di fuori delle tasse propriamente di bollo; la stessa loro origine è, in realtà, collegata a tasse affatto diverse dai tributi di bollo e precisamente alle tasse postali, cioè ai francobolli, e anche in seguito furono estese a tributi diversi non strettamente di bollo.

Le marche furono utilizzate per la tassa di bollo, nelle sue articolazioni storiche del bollo ordinario e del bollo graduale sui titoli cambiari, nonché del "bollo sul consumo", nel Lombardo Veneto; nell'ultimo dopoguerra, si è aggiunta la categoria del bollo sugli atti giudiziari. Ebbero, anche, ampia diffusione nell’ambito delle tasse sulle concessioni governative, dapprima limitatamente ai cosiddetti affari esteri, passaporti, vidimazione dei passaporti stranieri e legalizzazione di atti da e per l’estero; quindi, furono estese a molte tasse di concessione, pagate con marche da bollo o fascette bollate, sia generiche, sia specifiche, come la tassa per l’esercizio di polverifici, per il rilascio di libretti di riconoscimento postale, per l’ingresso ai musei e per l’esercizio di guida d’arte, per le licenze di caccia e pesca, e, più recentemente, le tasse sulle patenti di guida e le tasse automobilistiche. Altro ambito dove le marche ebbero largo impiego sono le imposte di fabbricazione, i monopoli e le privative e le connesse imposte o sovrattasse doganali di confine: carte da gioco, fiammiferi, surrogati del caffè, radiofonia, tabacchi, sigarette e accessori (cartine, tubetti, pietrine focaie, accendini), liquori, sali medicinali, seme dei bachi da seta, polveri piriche.

Un campo a sé stante, sebbene inizialmente confuso con il bollo sui consumi, è costituito dalle tasse sugli affari e gli scambi commerciali, riscosse inizialmente con fascette bollate e poi con marche da bollo di norma doppie, a madre e figlia: profumi e specialità medicinali, vini e acque minerali, tassa lusso e scambi, poi divenuta tassa sugli scambi commerciali e, infine, imposta sull’entrata, tassa sui conti di albergo, sui contratti di borsa, sul plusvalore dei titoli azionari, sui contratti di locazione, sui contratti di autotrasporto e sulle spese voluttuarie. Solo episodicamente nell’ottocento le marche furono usate per le tasse di registro (marche di registrazione e marche di riscontro), mentre ebbero e hanno diffusione tale da non poter essere neppure catalogate nell’ambito dei diritti: solo per alcune categorie, come i diritti catastali, consolari, di pesi marchi e misure, d’urgenza del casellario giudiziale e di cancelleria, ne è possibile la ricostruzione, mentre di altri diritti, come quelli comunali e provinciali (segreteria, stato civile, urgenza, ecc.), quelli delle Ferrovie, delle Camere di Commercio, dei Tribunali, delle Università e di altri organi o Enti pubblici, la vastità e l’eterogeneità delle fonti rendono impossibile qualsiasi tentativo di ricostruzione, se non per categoria.

In questi termini, la dizione marca da bollo è certamente impropria, riferendosi non alla sola tassa di bollo, ma a varietà di tributi che si riscuotono attraverso l'impiego di contrassegni. Ciò comporta l'estensione del concetto di marca da bollo a qualsiasi contrassegno fiscalmente rilevante, intendendosi per tale qualsiasi prestazione obbligatoria di carattere tributario, la cui esazione avviene attraverso etichette, fascette o altro contrassegno stampato su carta. Sono marche da bollo, per altro, anche i contrassegni ufficiali che attestano l’esenzione fiscale di prodotti normalmente soggetti a tassazione. Del pari sono a tutti gli effetti contrassegni fiscali quelli che oggi si dicono "di legittimazione", come le marche o fascette per "atti gratuiti" o per "tassa pagata", ovvero le fascette sui tabacchi esteri: comprovano tutti la regolarità tributaria dell'atto o del prodotto, distinguendolo da quello di contrabbando, fabbricato, importato o commerciato in frode fiscale.

Il collezionismo delle marche in Italia, come all’estero, si è da tempo orientato nell'affiancare alle marche, che attestano il pagamento di tributi, anche le marche previdenziali, vale a dire destinate non al pagamento di un’imposta, ma a costituire un fondo per le pensioni: queste, però, rappresentano contributi che non solo non sono destinati all'Erario, in quanto incassati da Enti previdenziali (come l'INPS o le Casse di previdenza dei professionisti), ma neppure hanno carattere e natura tributaria, cioè di imposte e tasse. Dai contributi previdenziali vanno poi distinti i contributi assistenziali, diretti ad Enti (sempre pubblici), che invece di assicurare la pensione agli iscritti, come fanno gli Enti previdenziali, danno loro prestazioni di aiuto, come l'assistenza nelle malattie, ai minori, agli alienati, ecc. Occorre quindi distinguere due settori autonomi, costituiti dalle marche da bollo in senso proprio, per l’esazione di tributi (di bollo o d’altro genere, statali e locali), e le marche per l’esazione di contributi previdenziali e assistenziali obbligatori: queste ultime solo impropriamente possono essere definite marche da bollo; più esattamente debbono essere qualificate "marche assicurative" o "contributive", a loro volta distinguibili (ma non sempre) in "previdenziali" e "assistenziali".

 

(pagina a cura di Marco Locati)